Errare Mirificum Est

Gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli: per esempio, la torre di Pisa.

Gianni Rodari

Errare non è soltanto umano ma anche qualcosa di straordinariamente produttivo o, traducendo dal latino in uno dei possibili significati dell'accusativo «mirificum»,, persino «meraviglioso», «straordinario», «mirabile», «stupendo» e/o «prodigioso».

Perché? Beh, è presto detto: seppur banale, il motivo è che «sbagliando si impara»; e non è un caso se nel gergo tipografico si è conservata la locuzione latina «errata corrige» (letteralmente «correggi le cose sbagliate»), per designare la lista degli errori di composizione riscontrati dopo la stampa di un libro.

È nell'ordine naturale delle cose: si costruisce sbagliando, a volte per eterogenesi dei fini, secondo una logica occasionalmente sfuggente e insondabile, se non a posteriori: succede a scuola, nel lavoro e, con un po' di malcelato realismo, ovunque "accada qualcosa".

Ed è nondimeno sbagliando che si impara anche una melodia della quattro disponibili in un coro SATB, che si apprende come modulare la voce nel passaggio dal registro di petto a quello di testa, che si coglie come una certa immissione/emissione d'aria favorisca l'esecuzione di un suono grave o di un crescendo, che si stabilizzano le relazioni artistiche e umane con la propria sezione corale, etc.

Anzi, possiamo tranquillamente dire che sbagliando si impara anche a dirigere un coro, non soltanto a cantarvi: con un gesto poco intelligibile delle mani, con qualche carambola troppo azzardata delle mani - pensata più per la gioia del pubblico che per la funzionalità musicale -, con uno sguardo nella direzione sbagliata, con un movimento asincrono.

Dall'errore nasce il «Laboratorio Permanente del Perfettibile»

Come ebbe a sostenere Aristotele, «Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono»: e chi siamo noi per poterci permettere il lusso di non combattere e - in definitiva - di non combattere? Di non mentire magari sì, ma sicuramente non di non esistere.

«Erramus Igitur, iuvenes dum sumus», parafrasando l'incipit di una famosa cantata goliardica: cioè «sbagliamo dunque finche siamo giovani», per non dire letteralmente che sbagliare è il succo stesso dell'essere giovani e che continuare - in qualche modo e in qualche misura a farlo - è una sorta di elisir di lunga vita!

Sbagliare è dunque la premessa irrinunciabile del Laboratorio Permanente del Perfettibile di Alma Pisarum APS: vale per l'Alma Pisarum Choir come varrà per ogni altre attività e/o progetto che nascerà in seno all'ente.

Il perfetto è irraggiungibile, il perfettibile è alla portata di chiunque ogni singolo istante della sua esistenza.

Alessio Niccolai

"Sbagliare prima", non "sbagliare "meno"!

Prima di che? Ogni ragionamento inizia con i principi della Laica Schola Cantorum di Alma Pisarum APS e nella deliberata scelta della performatività in luogo della formatività sta la risposta: prima cioè di performare.

Ciò equivale a dire che la formazione performativa è principalmente la dialettica fra errori e successive correzioni in un moto permanente e inarrestabile di relazioni umane, di numeri triangolari, di visioni e revisioni, di bozze e versioni finali che a loro volta si fanno bozze per diventare nuove versioni finali, di refusi, di lapsus, di accomodamenti, aggiustamenti, emendamenti e miglioramenti senza soluzione di continuità.

Il lavoro del coro è una pulsione a correggere, un lavoro su noi stessi come individui prima, come sezioni dopo e come insieme poi per redistribuirsi nel senso inverso come nuovo stato di cose.

Sbagliare prima dunque, per non farlo [ma già sarebbe chiedere troppo: per farlo il meno possibile] "dopo", cioè sul palcoscenico, ovvero nel corso della performance per antonomasia.

La «lentezza» come valore irrinunciabile

Certo: «non esistono buoni o cattivi cori, bensì buoni o cattivi direttori» e questo si può considerare dato di fatto. Rimane da chiedersi ora chi o che cosa siano i buoni direttori.

Ce ne sarebbe per discutere ore ed ore, finendo sempre e regolarmente per soppesare questo o quell'altro aspetto squisitamente tecnico-artistico, dimentichi alla fin fine del più determinante fattore: quello dell'«alterità», e cioè del fatto che anche un direttore è un essere umano, costituendo pertanto l'«alterità» di ogni singolo cantore del coro.

Non dunque un'individualità da definire con l'iniziale maiuscola al cospetto di una massa informe di iniziali minuscole, bensì un pezzo - seppur molto significativo - del tutto, la sua parte cioè che si rende immanente, che si concreta e manifesta attraverso l'unione dell'operare dei singoli in un agire collettivo.

In altre parole, un primo inter pares a cui - guidando con l'esempio - è dato sbagliare, ammettere - anche pubblicamente - di averlo fatto e correggersi secondo una logica incline all'autocritica e protesa - lo stesso - verso il perfettibile.

Sarà l'incedere lento ma inesorabile a fornire la soluzione a tutte le problematiche: che equivale ad una percezione molto accorta dei tempi di realizzo (o di "produzione"), non favorevole cioè a sottovalutare/sopravvalutare il fattore temporale.

La conciliazione di Performatività e Lentezza

Il tempo - il buon vecchio ed inossidabile dio Κρόνος (Krónos) - è il fattore chiave in ogni attività umana: concedersi quello di poter sbagliare è prerogativa di quella parte del Terzo Settore che opera secondo una logica generativa.

Arrivare alla Performance dunque non è una prescrizione medica: vi si sale quando ci sono le condizioni per poterlo fare!

Non dunque impegni pressanti, proposti con troppo poco anticipo rispetto alle esigenze reali, ma avanzamento senza azzardi, con spirito di corpo ed identità collettiva forte: il coro non è un generatore di ansia ma il suo principale rimedio!

Fuori dalla logica Successo/Fallimento

C'è un solo modo per fallire: rinunciare. Parole come abbandono, ritiro e arrendevolezza, definiscono, quasi perimetrano il concetto stesso di fallimento.

La dinamica successo/fallimento - cui una società distopica, altamente selettiva e sempre meno sostenibile sia dal punto di vista sociale che economico - intende abituare e costringere ciascuno dei suoi membri attivi, nasce in funzione di una logica altamente coattiva: quella della gabbia temporale in cui far accadere le cose.

C'è in altre parole un «tempo congruo» affinché esse seguano il loro corso e ciò che riesce ad avere luogo entre il suo limite diverrà letteralmente un «successo» mentre ciò che lo sopravanza un vero e proprio «fallimento».

Nella terriccio della lentezza dunque, si mettono necessariamente a dimora i semi della bancarotta, della rovina, del tracollo, del dissesto, dell'insuccesso, del flop, dello scacco, del fiasco, della disfatta, della rovina e dello smacco?

Secondo Alma Pisarum APS decisamente no: la chiave di volta è e rimane quel tempo che qualcuno ha stabilito - contro ogni logica - «congruo» ma che in verità lo diventa solo laddove se ne accettino le prescrizioni, le necessità produttive, le prerogative.

Il filosofo - nonché mineralogista e storico della scienza - inglese William Whewell sostenne che «ogni fallimento è un passo verso il successo. Ogni scoperta di ciò che è falso ci indirizza verso ciò che è vero: ogni prova ci mostra qualche allettante forma di errore. Non solo, quasi nessun tentativo può considerarsi del tutto un fallimento, quasi nessuna teoria, quasi nessun risultato di un pensiero analitico, è del tutto falsa; nessuna forma allettante di errore è priva di un certo fascino latente che nasce dalla Verità».

Affinché ciò possa accadere, è necessario che quel tempo si adatti alle aspettative di ciascuno come un abito sartoriale, cosicché la congruità si atomizzi in tante parti quante sono le esistenze.

I risultati contano molto di più del tempo necessario a conseguirli: la congruità consiste proprio nel raggiungere l'obiettivo che ha una valenza collettiva ma che è fatto di tanti pezzi differenti che camminano o corrono a velocità differenti.