Una comunità cantante... ... per ritrovare un senso della collettività!
Abbiamo scelto di creare un format appositamente per i Circoli ARCI perché - non bastasse che molti di noi nei circoli sono cresciuti (e ovviamente non solo negli ARCI, ma anche negli ACLI e/o in altri!) - perché osserviamo che i luoghi di aggregazione sociale si sono ridotti in maniera drammatica a partire dall'inizio millennio.
E la stessa rete dei circoli si può dire in affanno tanta a svolgere la sua funzione più mutualistica e solidaristica, che a rimanere in piedi come esercizi in quanto tali; specie nella fase post-pandemica.
Il Logo
Ricavato da una delle tante incarnazioni di Alcindoro - personaggio farsesco de La Bohème pucciniana - il nome si presta visivamente ad essere "corretto" in ARCInCoro e, proprio in ragione del luogo drammaturgico in cui fa la sua comparsa - il movimentatissimo Atto II dell'opera in questione, quasi uno spezzato di opera buffa creata intorno al caffè Momus con cori di adulti e di voci bianche che intrecciano i fenomenali concertati della compagnia di canto - indirizzato ad evocare la vita di tutti i giorni, la comunità che si raccoglie intorno ad un suo caratteristico luogo di ritrovo, l'arte ed i suoi interpreti e un magnifico spezzato di vita parigina di inizio XIX secolo.
Il Format
«ARCInCoro» è la proposta a bassissimo costo di AP per i circoli ARCI fortemente motivati a livello sociale: il programma consiste in una Prova Aperta (o in un ciclo di Prove Aperte con cadenza mensile, bimestrale o addirittura trimestrale) del coro di AP, ovvero l’Alma Pisarum Choir (d’ora in avanti anche “APC”).
Si tratta - letteralmente di «dare palco» ad un ensemble vocale polifonico laico e popolare di non meno di una trentina di persone che va trasformando una propria prova canonica in una vicenda ibrida, a metà fra ciò che era ed un vero e proprio spettacolo per il pubblico.
In effetti diventa oggetto di attenzione e di spettacolo ciò che sta “sotto il cofano” della conduzione di un coro polifonico: la concertazione a 4 voci; in realtà 3/4 della prova si svolgono entro il confortevole recinto del «déjà su», ovvero a eseguire repertorio già noto per mantenerlo fresco nella memoria, perfezionarne/modificarne alcune parti e/o correggerne alcuni difetti esecutivi; la direzione spiega ovviamente - passo dopo passo - ciò che sta succedendo e interagisce col pubblico.
Il clima del gruppo è festoso e informale e - fra un pezzo e l’altro - briosamente confusionario, capace cioè di restituire un’immagine serena, entusiastica, colloquiale e - insomma - familiare dell’insieme, nella manifestazione spontanea e genuina di una socialità variegata, plurale, distesa - ma non per questo priva di energia - e soprattutto, capace di incarnare il più trasparente e palpabile senso comunitario, in un continuo dialogo intergenerazionale e interculturale “a porte aperte”.
Dunque, una vera e propria comunità di pratiche che, attraverso un processo performativo si racconta al suo pubblico, consegnandogli - non soltanto un percorso di senso di natura eminentemente musicale, ma anche - un’esperienza comunitaria e solidale inedita dal forte impatto formativo.