Il requisito più rilevante di un qualunque cantore dell'APC è l'intonazione:. non ha assolutamente importanza che tu conosca le tecniche del belcanto, che tu abbia avuto insegnanti prestigiosi, che tu abbia già avuto pregresse esperienze corali etc..

Nell'idea stessa di Laica Schola Cantorum si "nasconde" il motore di ogni cosa: l'imitazione degli altri cantori, la condivisione, la formazione collettiva.

Qualunque esperienza è dunque benvenuta, ma non strettamente necessaria: se hai cantato nei karaoke o sotto la doccia, non sei meno adatto di chi venga da un grande coro di consolidata tradizione!

Il passo successivo è quello di comprendere l'idea di poter cantare a 4 voci o - come comunemente si dice - in un coro «SATB» (acronimo per S = Soprano, A = Contralto, T = Tenore, = Basso).

In un coro a 4 voci ogni voce è una pennellata di colore che concorre ad un meraviglioso affresco finale: mettere a disposizione la tua voce in un coro a 4 voci significa dunque abbandonare un approccio al palcoscenico «individualie» per passare ad uno «collettivo».

Questo significa che non capiteranno mai e in nessun caso parti soliste? No: significa che di norma ogni voce entra a far parte di una sezione che esegue una melodia sovrapposta [almeno] ad altre 3! Può capitare che talvolta il solista divenga necessario!

Il principio è estremamente semplice da comprendere: tutto ciò che ha un andamento armonico chiaro - non minimalizzato cioè ai massimi livelli o incline ad armonie troppo complesse - può essere trasformato in una pièce per «coro SATB».

Si tratta naturalmente di un lavoro da compositore che non comporta assolutamente nulla per il cantore che si avvicini al coro: ma senz'altro diventa un'opportunità ulteriore potendo una moltitudine di pezzi di ogni epoca e genere trasformati in partiture per coro!

Ovviamente la questione ha anche i suoi rovesci di medaglia: la manipolazione di opere dell'ingegno - fonti cioè di diritto d'autore - può produrre una serie di complicazioni (ad esempio aggiungere un qualunque testo ad una composizione che nasce strumentale, necessità del placet dei suoi autori originari).

Ma a tutto c'è sempre una soluzione!

Stare in un coro, significa fare le cose in gruppo: ciò equivale a dire che non esistono "primedonne" o altre declinazioni dell'individualismo: in un coro i solisti sono silenzi delle altre voci.

Il principio regolatore di ogni cosa è quello per cui «il tutto è molto di più delle parti di cui è composto» e non esiste ad esso deroga che tenga.

Conoscere una o più discipline musicali può essere di grande aiuto, inutile negarlo: ma non è strettamente necessario e/o - talvolta - opportuno.

Può coadiuvare il lavoro di apprendimento delle parti, ma di norma il metodo utilizzato nell'APC è tale da permetterlo anche al più digiuno di nozioni musicali.

Il presupposto su cui si basa la Laica Schola Cantorum non è accademico in senso proprio (non richiede cioè un ampio spettro di competenze musicali e/o connesse), ma è proprio quello di consentire a chiunque un apprendimento rapido delle melodie e dei testi in repertorio.

Anche per la specifica competenza della lettura del pentagramma vale il principio di cui sopra: anzi, la prassi della Laica Schola Cantorum può addirittura giungere - per vie traverse, senza cioè uno studio specifico della disciplina - all'acculturazione in tal senso.
Ma ciò riguarda chi abbia nelle corde di formarsi a livello teorico-musicale: AP sarà sempre il luogo giusto per poterlo fare!

1. le parti con «i pallini che vanno in su e in giù» che servono innanzitutto per l'orientamento testuale e, in seconda battuta e per chi è interessato, anche ad un apprendimento "borderline" (abduttivo potremmo dire) della teoria musicale;
2. gli audiofile da ascoltarsi per l'apprendimento in autonomia delle melodie e dei testi.

L'obiettivo o, per meglio dire, l'«hic-et-nunc» dell'APC è la performance sul palcoscenico e non la formazione canoro-musicale a 360°: non si tratta dunque di un corso formativo ma di un percorso pratico con risvolti incidentalmente formativi (per approfondire la questione è necessario comprendere l'idea di Laica Schola Cantorum).

La coralità non è e non deve essere stakanovismo: i risultati vanno centrati in un tempo ragionevole.

Ma valgono le regole di ogni altra prassi strumentale: poco tutti i giorni (nell'ambito professionale la continuità di applicazione diventa un grosso investimento quotidiano di tempo) è meglio di «tanto concentrato».

Tuttavia, garantire una buona assiduità (le prove sono mediamente a cadenza settimanale e si limitano a due ore) non è un toccasana soltanto per il buon andamento del coro: è anche un'ottima cosa per lo spirito, l'autostima ed il divertimento del cantore.

Quanto all'esercizio vocale quotidiano (in genere si tratta di ascoltare e imparare i testi), è possibile farlo anche in surplace, rimanendo cioè intenti in altre occupazioni, come spesso accade quando si ascolta musica.

Sarebbe invece cosa buona fare proprio l'eserciziario per la cura dell'apparato fonatorio e dedicargli qualche minuto ogni giorno! 

Cantare in un coro non è soltanto passare qualche ora in compagnia di altre persone animate dallo stesso desiderio (quello di cantare) e inclini a comporre uno stesso disegno artistico: è un esercizio di autostima, di miglioramento delle qualità percettive, di riconoscimento del sé in mezzo agli altri e, nondimeno, di costruzione di un'autonomia funzionale che è tipica del rapporto fra singolo e insieme.

Un aspetto da tenere sempre in debita considerazione: spesso e volentieri si fanno le cose sbadatamente, disordinatamente e/o abitudinariamente: la coralità è uno strumento capace di accendere il cantore, renderlo sì partecipe di un progetto, ma anche di spingerlo ad esploare séstesso, a comprendersi meglio e a mettersi in discussione.
Per riprendere la massima stampigliata sulla facciata del Tempio di Delfo: «γνῶθι σαυτόν» (o «gnōthi sautón»), cioè «conosci te stesso»|