Alcune opere letterarie di Alessio Niccolai

Frammenti di una discreta produzione letteraria

Trittico del Tempo

Còmita mi fosti dacché un bel dìe

ti scorsi germogliare al mio Tramonto

sicché da allor - solingo veglio e blando -

gaudio arrecò al mio guardo venerando

puerizia tua, ‘si come tornaconto

mi fuer tue puberali vigorie.

Infanta dell’Urbe e d’ellena schiatta,

ghermire t’osservai l’acqueo trastullo

ch’Auser recotti pria d’Eòo sentiero,

sedul pascendo l’Arnus d’apuo siero,

poi - sotto il Col Vergario impervio e brullo -

fluendo esperio verso Ripa Fratta.

Così ti fuer diletti flutti e ingegno

e tanto periti levasti e ammodo

calafati, nighèi e mastri d’ascia

che vela mai recò forziere o grascia,

fu solcato ponto o dischiuso approdo

senza pagarti prima il giusto pegno.

Ed io qui già redevo, mia astorella:

ante fu la “Notte de’ Tempi” arcana

allorché gli occhi m’apristi rimpetto,

al Popol del Mar ti facesti ricetto

e ai dedalei Tusci non fosti vana;

dunque ai Cesari ti rendesti ancella.

Vidi allor farsi eccelsa la tua cala,

correr tuo naviglio verso l’eterno

prosperar le tue genti e lor sodali:

ma l’amor mio da pria fu senza eguali,

che tu vagassi per il Mar Interno

oppur giacessi sotto la mia ala!

Vennero i dìe di più fulgente etade

e due possenti braccia avrei bramato

onde ormeggiare il cielo alla tua Torre,

‘lorché bagliore vespertino incorre

nell’aura eburnea del più eccelso prato

ch’ai prodigi sacraron tue contrade.

E il firmamento inter si sottomise

alla possanza tua e tuo magistero

ch’ai Consoli balir fu alfine ascritto:

gli armi piaggiarono con spirto invitto

d’imettia Cattedrale e Battistero

novel recando all’orbe più decise.

Ma il lustro all’immortal non è sponsale

ed in procel virando la bonaccia

fulmineo volse il vento della storia:

diadem dei mar cedesti alla Meloria,

pria ancor del Gambacorta il voltafaccia,

onor smarrendo e primazia regale.

E se il cuor mio esultò d’antica fama,

inan ma irato padre fui e dolente

e quelle stesse braccia avrei impiegato

per trarti dal sopor tuo reiterato;

ne’ lenimento all’alma mia furente

mi fu mai più - al riguardo tuo - proclama.

Per l’avolo amorevole e paterno,

nella sventur del seme suo, sodale

al punto da dolersene più assai,

tale è la sorte e non di meno i guai:

ed io che genitor ti fui ancestrale

conobbi le afflizioni dell’inferno.

Non immortale viver mi fu ammesso

ma longevo, e fluì il tempo diuturno:

e brumal Circio etra nettò alle Iadi,

via via i ghiacciati facendosi radi,

pioggia recando al dìe e ristoro notturno

finché tutto all’estate fu sommesso.

Crebber le messi all’arsura assillante, 

pausie e cominie trovaron livore

lugliole e pergole estruser lor pigne,

cingendo d’autunno oliveti e vigne:

tutto s’accese poi perse colore

e inverno fu ancora, arcigno e frizzante.

Ma chi io sia - mia musa - o fossi, invano

nei secoli talor ti sarai chiesta,

gli occhi volgendo alla landa aurorale

sulla linea da Scirocco a Maestrale,

allorché il sol sul dorso mio s’arresta

a rinvergar della creazion l’arcano.

Con lo screziato Oltreserchio a Borea,

gariga d’orchidee e mirti fiorente,

ti son compagno dal dìe più lontano:

da sempre m’appelli Monte Pisano,

per te - mia Pisa - fui sempre presente

nel bene e nel mal che la storia crea.

Più veglio assai ti son in questo loco,

‘si come sopravviverti mi è dato

sebbene ch’aneli perirti a fianco.

Allora impetro voto grave e franco

a te ch’amor m’hai sempre ricambiato:

voglio bruciar per te, mai più pel fuoco!