Ditirambo

Bacchum in remotis carmina rupibus Vidi docentem, credite posteri, Nymphasque discentes et aures Capripedum Satyrorum acutas. Euhoe! Recenti mens trepidat metu, Plenoque Bacchi pectore turbidum Laetatur. Euhoe! Parce, Liber, Parce, gravi metuende thyrso! [...]

Horatio

Bacco tra rupi vid’io recondite Insegnar carmi, credete, o posteri, E le Ninfe intente e le orecchie De’ caprípedi Satiri acute. Evoe, di tema recente l’animo Trema; di Bacco pieno il sen torbido Si allieta. Evoe, Libero, pace, Pace, tu, pel gran tirso, tremendo! [...]

Orazio

Il vocabolo greco antico διθύραμβος (transilitterato dithýrambos) è di origine sconosciuta, e - con ogni probabilità - riferibile più ai pelasgi che ai greci classici, comparendo per la prima volta in Archiloco - primo grande lirico greco -, che lo indica come il «canto a Dioniso» da eseguirsi sotto l'ispirazione del vino.

Una parola dunque «naturalmente» amica di Pisa, stando alla leggenda che la vorrebbe - sotto l'originaria denominazione di Alfea - figlia proprio di quel Popolo del Mare che sarebbe venuto dall'omonima Πῖσα (Pîsa) dell'Elide nel Peloponneso presso Olimpia nei cui pressi scorreva - e continua tutt'oggi a scorrere il fiume Alfeo, antesignano ellenico del nostro «Arnus».

Il Ditirambo degli esordi doveva essere intonato da un gruppo di persone dirette dal cosiddetto corifeo o exarchōn: si trattava di una composizione poetica corale, in cui poesiamusica e danza si fondevano insieme inseparabilmente in un ballo di gruppo cantato drammatico e frenetico, eseguito in cerchio da danzatori coronati di ghirlande; l'exarchōn rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo.

Il Ditirambo accompagnava anche i cortei (pompè) di cittadini mascherati che, in stato d'ebbrezza, inneggiavano a Dioniso, accompagnati dal suono di flauti e tamburi; un suono cupo, poco melodico, ma di profonda potenza, furente, che accompagnava alla perfezione il corteo barcollante di uomini mascherati. Alcune feste a Dioniso infatti presupponevano il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli; le Menadi, seguaci dirette del dio, portavano il Tirso, un bastone con in cima o un ricciolo di vite o una pesante pigna.

La pratica coreutica che precede e da cui si sviluppa il teatro tragico, continua ad esistere parallelamente anche dopo l’affermazione della tragedia. Nel corso delle Grandi Dionisie avevano luogo due "premi", quello tragico e quello riservato ai cori ditirambici, che si sarebbero esibiti in danze e canti con testi di contenuto esclusivamente narrativo.

Il coro tragico era formato da 15 persone,mentre quello ditirambico da 50 ragazzi o altrettanti giovani uomini, che si esibivano a coppie. Alle competizioni partecipavano 10 coppie, ognuna fornita da una delle dieci tribù di Atene.