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L'inizio di un'amicizia!

Non serve un articolo per raccontare la splendida esperienza compiuta da Alma Pisarum ChoirMonterosso Grana: servirebbe forse un libro intero con tutti i commenti, i punti di vista, i racconti e - soprattutto - le emozioni dei nostri coristi.

Tutto è iniziato con il raduno a Migliarino Pisano, alla pasticceria Pinco Pallino: una bella colazione per poi mettersi tutti in marcia (o «en marcha») in direzione delle Valli Provenzali del Piemonte o - come spesse abbiamo chiamato quella suggestiva regione pedemontana - l’Occitania Cisalpina; una foto collettiva con la bandiera del progetto - Pisa d’Òc - e via verso il cuneese.

Due fermate sostanziose alle stazioni di servizio prima di Piani di Invrea sulla A10, poi di Carcare sulla A6 con pranzo al sacco e una cantata nel parcheggio, tanto per fare un po’ di colore.

Al nostro arrivo, i coristi de Lu Corou de la Cevitou ci ha dato appuntamento in un piazzale della frazione Braida di Monterosso Grana, sulla strada per Pradleves, dedicandoci subito un graditissimo rinfresco di benvenuto a base di deliziosi manicaretti fatti in casa, bevande e un pioggia di Cuneesi - a tutti i gusti possibili e immaginabili - per la gioia di tutti i palati (e di tutte le glicemie che - non di rado - con la musica ed i musicisti hanno un rapporto intimamente conflittuale!).

Il primo segno tangibile di una generosità trasudante calore, familiarità e voglia di amicizia - sensazioni che io e mia moglie avevamo conosciuto già un anno prima, ospiti di Paola e Andrea al Saretto in occasione dell’edizione 2022 del Roumiage - è questo: un inaspettato ritrovo al crocevia tra le due direttrici più importanti di questo territorio su cui si affacciano Alpi Marittime a Sud e Alpi Cozie a Nord, e un banchetto - non meno inatteso - tanto colorato, accogliente ed amichevolmente pullulante.

Poi ciascun corista provenzale in grado di offrire privatamente la propria ospitalità ad un gruppo dei nostri, si è preso in carico il “proprio", composto in precedenza a tavolino senza alcun tipo di informazione che non fosse il numero di posti letto disponibili: un’oretta ciascuna pattuglia ad acclimatarsi con l’ambiente e con il proprio ospite, poi su per la frazione di Sancto Lucìo di Coumboscuro a montare lo scarno equipaggiamento per l’attesa performance; dunque un po’ di riscaldamento congiunto tra i due cori e via quindi - come da galateo corale - l’introduzione degli amici occitani con una bella pièce a cappella che evoca la frazione di Villa San Pietro di Monterosso Grana - cuore pulsante della loro attività sia corale che associativa - che è il programma, il motto e la prospettiva stessa del non lontano Ecomuseo Terre del Castelmagno: «Pais senço temp», cioè - come facilmente suggerisce il titolo provenzale - «Paese senza tempo».

Alla fine di questa bella performance, la nostra, versione speciale del format «Incontri di Voci» - alternanza fra pièce corali polifoniche e letture, per l’occasione in italiano, occitano e francese - «Rencontres de Votz»: ad aprire l’immancabile amica di sempre Daniela Bertini con la lettura del primo testo, quindi la prima esecuzione corale avvolta da un’emozione impalpabile e pervasiva, quindi giù tutto il programma fino al momento più bello e struggente del Se chanto a voci unite con i nostri ospiti provenzali.

Credo di aver riconosciuto in quest’ultimo significativo momento uno dei più struggenti e straordinari della mia intera parabola artistico-musicale: un attimo di condivisione totale, di sintonia con l’universo intero, o - per usare le parole di Ivano Fossati - «l'istante in cui scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle». No, non è il momento in cui decine, centinaia o migliaia di mani iniziano a battere freneticamente a certificare ciò di cui poco prima avevi già avuto sentore, sciogliendo definitivamente la riserva che ti aveva accompagnato per tutta l’esecuzione: è invece quello in cui tante voci si levano all’unisono affratellandosi per realizzare ciò che la canzone stessa auspica, che le montagne cioè si abbassino, che le pianure si alzino e che ciascuno possa riconoscere - attraverso il grande spazio ormai libero - i propri affetti.

Un cammino iniziato con una mail al Museo Espaci Occitan di Dronero, cittadina distante dalla valle del Grana non più di una quindicina di chilometri e curiosamente gemellata con la nostra “vicina” Castelnuovo di Garfagnana: era appena il 21 ottobre 2020; di lì a non molto mi aveva risposto il Direttore Scientifico della struttura, Rossella Pellerino indicandomi alcune realtà corali di tradizione musicale occitana, primo fra tutti proprio il «Coro della Civetta» di Villa San Pietro; qualche giorno dopo i primi scambi eMail con Paola Luciano, suo direttore.

La sua prima risposta conteneva questo un che mi si sarebbe scolpito nel cuore come l’emblema stesso - oggi lo so bene - di una modalità di andare incontro all’avvenire tutta provenzale e tutta di queste valli piemontesi: «Purtroppo per ora, causa pandemia, tutto è sospeso, ma il gruppo è in attesa ottimista in tempi migliori»; e ne è dovuto passare di tempo - fra tante e tante difficoltà - prima di poter mettere a frutto i buoni propositi di quei primi scambi epistolari.

Si è dovuto aspettare il Roumiage 2022 perché io e la mia Paola potessimo conoscere di persona questo mondo e le tante belle anime che gli hanno dato forma e consistenza, e quello successivo perché una buona rappresentativa dell’Alma Pisarum Choir in compagnia del vox populi dell’Associazione Culturale “Il Gabbiano” potesse fare altrettanto.

Ma alla fine quel momento è arrivato e tutte le aspettative correlate si sono sciolte in un suggestivo Se chanto; poi il resto è lieta cronaca di tanti momenti insieme, momenti che a due due o in qualunque altra relazione numerica si sono consumati al rumoroso tavolo di una bella cena in reciproca compagnia, al calore spumeggiante di un grande falò sulla piazza, fra danze e canti occitani, a sentire i nostri ospiti raccontare una storia che è memoria indelebile, che è vicenda personale ma anche parte di un tutto che collima, che si armonizza col resto, incastrandosi come la tessera di un puzzle sagomata a mestiere.

Poi il secondo giorno, quello più bello, quello più intimo, quello più memorabile: coccolato ciascuno dalle attenzioni mattutine del proprio ospite, alla fine si è ritrovato alla “bocciofila” di Sempìe, edificio che condivide l’accesso con Casa Vittoria, una RSA che i nostri amici provenzali hanno trasformato a ragion veduta nella loro mnemoteca, nel luogo in cui passato, presente e futuro si incontrano attraverso lo scambio e la contaminazione generazionale; un’emozione dunque anche varcare quel cancello.

Ma prima la visita - non molto più a valle - all’Ecomuseo Terre del Castelmagno, scrigno nel quale quella memoria culturale è stata posta a custodia per la condivisione a l’attualizzazione, dalla tragedia dello spopolamento, della separazione e della disgregazione di un tessuto sociale, al ritrovamento di un sé collettivo all’insegna del «nuovo inizio», a partire dalle poche certezze iniziali: la bellezza di un territorio sia a livello naturalistico, sia a livello culturale, e la bontà del Castelmagno.

E dunque il «Pais senço temp» dove la memoria si è materializzata in tante presenze gentili e discrete - i Babaciu, corpi di paglia dalle anime imperiture - che hanno ripopolato la località e ricostruitene le attività degli umani, in attesa che al loro posto tornassero altri nostri consimili in carne ed ossa a riprendere da dove il tempo era stato sospeso e ogni cosa bruscamente interrotta.

Poi il bel pranzo alla maniera provenzale, col pane ben ordinato sulle tovaglie secondo tradizione e tanti ottimi manicaretti prodotti dalle stesse mani sapienti e generose che hanno restituito vitalità ad un luogo, rendendolo un posto migliore del giorno precedente.

Infine una strofa di La libertat - pièce in lingua occitana dal sottoscritto arrangiata a 4 voci, discostandosi un po’ dall’originale di Manu Theron - con le quattro sezioni congiunte fra i due cori agli angoli dello stesso stanzone della bocciofila in cui si è tenuto il banchetto, e un’altra struggente interpretazione collettiva - nuovamente in un unico grande abbraccio - di Se chanto. Struggente a maggior ragione della sua prima volta a Coumboscuro perché colonna sonora - per usare le parole de La Bohème pucciniana - dell’«ultima scena», quella cioè prima della nostra ripartenza.

Sì perché il secondo giorno, volenti o nolenti era - come da programma - anche e purtroppo quello dei saluti. Un’esperienza di grande valore antropologico, un momento in cui il motto di Alma Pisarum «NEMO SEPARET QUOD MUSICA CONJUNXIT» ha preso la scena ad ogni altra cosa declinando un’idea precisa nel modo più incredibilmente semplice e per questo straordinario che si potesse.

L’amicizia è forse il migliore dei valori perché sottende comunione, spirito d’insieme, armonia, contiguità, condivisione: e questa esperienza ce ne ha portata una quantità memorabile, pizzicando corde il cui suono - di solito - rimane sempre sullo sfondo, non di rado inudito. A questo punto il primo passo è fatto: ora non rimane che farne tanti altri, tutti quelli che si possono fare!

E dire che tutto è nato osservando la ragguardevole similitudine fra i nostri rispettivi simboli, la nostra Croce di Pisa e la loro Crotz de Tolosa!